Alzheimer: farmaco per l’ictus previene perdita di memoria.
Un gruppo di ricercatori ha individuato nel Dabigatran (un inibitore diretto della trombina), la possibilità di ritardare l’insorgere della malattia di Alzheimer nei topi.
La ricerca è condotta da scienziati spagnoli del Centro nazionale per la ricerca cardiovascolare (CNIC).
12 Ottobre 2019
Alzheimer: farmaco Dabigatran ecco come agisce
Un team di ricercatori, ha dimostrato grazie alle nuove tecnologie, che il trattamento con un farmaco, il Dabigatran, un anticoagulante orale ad azione diretta, ritarda la perdita di memoria nei topi.
I risultati sono già pubblicati sul Journal of American College of Cardiology (JACC) e, secondo gli autori della ricerca, aprono le porte a un “possibile” futuro trattamento per questa malattia.
L’indagine è condotta dagli scienziati spagnoli del National Cardiovascular Research Center (CNIC); in collaborazione con un team della Rockefeller University di New York (USA).
I ricercatori hanno dimostrato che, dopo un anno di trattamento con Dabigatran, gli animali non hanno sperimentato perdita di memoria, o riduzione della circolazione cerebrale.
Inoltre, è stato osservato che questa terapia ha ridotto l’infiammazione cerebrale, il danno vascolare e la riduzione dei depositi di peptidi amiloidi; segni tipici della malattia di Alzheimer.
Ad un anno dal trattamento, secondo lo studio condotto, gli animali non hanno perso la memoria; o hanno avuto una minore possibilità di coaguli al cervello.
Questa patologia, colpisce oltre 30 milioni di persone nel mondo; ed è un processo degenerativo che si associa a una diminuzione della circolazione cerebrale. In modo tale che le cellule cerebrali non ricevano tutti i nutrienti e l’ossigeno necessari e muoiano.
È anche noto che l’Alzheimer è un disturbo multifattoriale con una componente cronica che favorisce l’accumulo di agglomerati di sostanza amiloide.
Dabigatran e il passo avanti rispetto ai farmaci precedenti
I farmaci utilizzati finora, aiutano solo temporaneamente con i problemi della memoria; ma non riescono a fermare, ridurre o invertire i sintomi.
Lo studio del CNIC , ha combinato tecniche fisiologiche e molecolari per dimostrare che l’anticoagulazione a lungo termine con Dabigatran migliora la patogenesi dell’Alzheimer nei topi.
Questo farmaco, ha meno effetti collaterali rispetto ad altri classici anticoagulanti, ed è approvato per l’uso in diverse malattie umane, come la prevenzione dell’ictus.
Alzheimer: farmaco Dichiarazioni
Marta Cortés Canteli, ricercatrice “Miguel Servet” del CNIC e responsabile dello studio, sottolinea a Efe la necessità di sviluppare terapie combinate. E individualizzare quelle volte a trattare i diversi meccanismi che contribuiscono alla malattia di Alzheimer.
Uno di questi, è quello di migliorare la circolazione cerebrale:
“Ora sappiamo che l’uso di trattamenti anticoagulanti orali potrebbe essere efficace in quei pazienti con malattia di Alzheimer con tendenza pro-coagulante “.
“Ritardare l’insorgenza della patologia, anche di qualche anno, significherebbe un aumento della qualità della vita dei pazienti. E avrebbe un impatto significativo sul numero complessivo di persone che soffrono di questa malattia”.
Valentín Fuster, direttore generale del CNIC e anche autore del lavoro, indica che ” le malattie neurodegenerative sono profondamente legate alla patologia dei vasi cerebrali”.
“Lo studio del nesso cervello-cuore nelle malattie neurodegenerative è la sfida del prossimo decennio”, conclude questo scienziato.
Alzheimer VS Dabigatran
In attesa di future analisi di sviluppo sull’uomo, questa ricerca suggerisce che il Dabigatran potrebbe essere un possibile trattamento futuro; questo per normalizzare la circolazione cerebrale nei pazienti con Alzheimer.
Ma come spiega a Efe Cortés Canteli, è necessario “sviluppare uno strumento diagnostico; che identifichi quei pazienti con Alzheimer che hanno la tendenza a coagulare, e questo è ciò in cui il team è immerso”.
Tendenza della coagulazione
Si ritiene che una percentuale importante di malati di Alzheimer abbia questa caratteristica.
Un fattore, dunque, che contribuisce allo sviluppo della malattia; e che “quindi dovrebbe essere preso in considerazione al momento della diagnosi e del trattamento”; osserva questo scienziato.
Iniziato sei anni fa negli Stati Uniti, lo studio è eseguito con finanziamenti statunitensi; ed è stato poi completato in Spagna grazie a varie sovvenzioni nazionali ed europee.
Tutto questo ha permesso a Cortés Canteli di spostare la sua linea di ricerca in Spagna nel 2015.
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